Quando accendevi il Commodore 64, non partiva nessuna interfaccia grafica, nessun desktop amichevole, nessuna icona colorata che ti guidasse. Ti compariva solo una schermata blu con la scritta READY. Nessun aiuto, nessun suggerimento, nessun Google o IA.
Dovevi fare qualcosa. Dovevi provare. E sbagliare. Scrivevi il tuo primo programma in BASIC, magari copiato male da una rivista ( quante ore a copiare infiniti listati! ) o da quel manuale che sembrava scritto in una lingua aliena. Premere RUN era come lanciare i dadi: se funzionava, ti sentivi un genio; se compariva un SYNTAX ERROR, cominciava la caccia all’errore ( beh almeno c’era il numero di riga incriminato! ). I 64K non erano solo di memoria, ma anche il numero delle bestemm … ops! giaculatorie che urlavamo di fronte all’ennesimo errore.
Ogni sbaglio era un indizio, un’occasione per capire, un allenamento alla pazienza. Non c’erano scorciatoie, né soluzioni preconfezionate: il Commodore 64 ti costringeva a leggere, a pensare, a riprovare. Non eri un utente passivo: eri uno smanettone. Provavi, cercavi, chiedevi. Scoprivi che un semplice “POKE 53280,0” cambiava il colore del bordo ( ed eri consapevole che andavi a modificare direttamente una cella di memoria: i POKE modificavano il Computer! ), che se caricavi un gioco con LOAD “*”,8,1 dovevi anche incrociare le dita. Ogni cosa era conquista, ogni successo aveva il sapore della vittoria vera. Il C64 ti spingeva a curiosare, a modificare, a rompere e ricostruire.
Non solo programmavi: imparavi a pensare come un costruttore. Anche se non lo sapevi, stavi sviluppando una mentalità hacker. Non funzionava qualcosa? Provavi. E se “crashava” tutto ( beh con l’Assembly succedeva anche quello ), pazienza: si ricominciava. Era una scuola di testardaggine, creatività e ingegno.
Oggi, in un mondo dove tutto è immediato, pulito e spiegato per filo e per segno, quell’esperienza sembra preistoria: è tutto troppo facile! Non serve neanche Googlare e cercare tra le miriadi di risultati quello che ci serviva, le IA danno già la risposta che cerchiamo. Ricordo i primi tempi di Google ( ora parlo di qualche anno dopo Commodore ): quando cercavo la soluzione ad un problema era facile trovare subito la risposta giusta: erano pochi i forum e/o le discussioni … poi con il passare del tempo, invece della soluzione, trovavo migliaia di persone con la stessa domanda e poche soluzioni!
Ma forse è proprio quello che ci manca: il Commodore 64 ( e, per estensione, tutti gli Home Computer di quei tempi ) ci insegnava che sbagliare è necessario, che smanettare è apprendere, che provare è l’unico vero modo per imparare davvero. Nessuna AI ti suggeriva la riga di codice, nessun tutorial ti prendeva per mano ( a parte le riviste specializzate, ma non sempre c’era la riga di codice che ci serviva, ma per lo meno avevamo degli spunti da “far nostri”).
C’era solo quella scritta: READY. E da lì cominciava tutto.
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